Il sistema fiscale del nostro Paese prevede imposte a 360 gradi -sul reddito, sui consumi, sul patrimonio-, ma non le accompagna ad alcuna seria riduzione di spese: in questo modo s’incrementa il gettito, ma si finisce per ridurre il prodotto interno lordo. Per questo, il rapporto deficit/Pil resta  sostanzialmente invariato.

La prima distinzione necessaria per comprendere il sistema fiscale italiano è quella tra tasse e imposte. Le tassecorrispondono a un servizio (ad esempio i francobolli per l’inoltro e la distribuzione della posta), e che questo servizio sia reso in modo corretto ed efficiente non importa molto.
Le imposte invece sono tutt’altra cosa, e devono (o dovrebbero) rispondere a dei criteri logici.

Le imposte sul reddito hanno una finalità tipicamente redistributiva: in altri termini, lo Stato preleva da chi ha redditi elevati per fornire reddito (o servizi) a chi ha redditi bassi, o non ne ha affatto.
Una corretta imposta sul reddito non dovrebbe avere effetti sullo sviluppo economico, quanto meno se non si accetta la teoria che chi ha redditi più elevati risparmia più di chi ha redditi bassi, e che dunque colpire i redditi più elevati riduce il risparmio, gli investimenti e  in ultima analisi lo sviluppo.

Le imposte sui consumi (le accise, l’IVA, ecc.) dovrebbero avere la finalità di ridurre i consumi stessi, e quindi di incoraggiare il risparmio (dunque gli investimenti e lo sviluppo). Naturalmente deprimere i consumi riduce il fatturato e gli utili delle imprese che producono beni di consumo, e dunque anche questo tipo di imposte ha effetti negativi (o almeno parzialmente negativi) sul prodotto interno lordo.
Ci sono infine le imposte patrimoniali, che non colpiscono il reddito o i consumi, ma la quota di reddito risparmiata e dedicata a investimenti produttivi (conti correnti bancari, immobili, titoli azionari, titoli di Stato, ecc.): naturalmente anche questo tipo di imposte ha delle controindicazioni, in quanto riduce la propensione ad investire (in conti correnti, immobili, azioni, titoli di Stato, ecc.)

Il sistema tributario italiano utilizza tutti questi strumenti (imposte sul reddito come l’IRPEF, imposte sui consumi come le accise e l’IVA, e imposte patrimoniali come l’ICI e la recentissima IMU).
La sola finalità di questa pluralità di imposte (e quindi della assoluta mancanza di logica del sistema) consiste nella massimizzazione del gettito fiscale, allo scopo di ridurre l’incidenza del disavanzo tributario – ovvero, dello squilibrio tra uscite e entrate – rispetto al Pil.
Tutto questo avrebbe un senso se tutte e tre  le tipologie di imposte non contribuissero a ridurre più o meno sensibilmente il Pil stesso. Il risultato è che all’eventuale riduzione del numeratore (il disavanzo) corrisponde una non indifferente riduzione del denominatore: ora, che 4/100 sia preferibile a 3,8/85 resta tutto da dimostrare!

Ma questo è proprio quel che sta succedendo in Italia: imposte a 360 gradi, senza alcuna seria riduzione di spese, incrementano il gettito, ma riducono il Pil; il rapporto deficit/Pil resta quindi sostanzialmente invariato, mentre si accresce l’insoddisfazione dei cittadini per un sistema tanto avido quanto privo di logica.

FONTE: www.altreconomia.it

AUTORE: Duccio Valori (già Direttore centrale IRI)