Il confronto internazionale sui sistemi finanziari è percorso da un apparente

paradosso: in tutto il mondo si lamenta la mancanza di sostegno finanziario, in

particolare di credito bancario, alle infrastrutture e alle piccole e medie imprese

(PMI); al tempo stesso, si osserva con allarme l’impegno crescente nel finanziare

l’economia reale di soggetti diversi dalle banche, l’allarme essendo provocato dal fatto

che molti di questi soggetti sono, rispetto alle banche, meno o per niente regolati e

vigilati.

 

Le due preoccupazioni nascono in ambiti diversi e hanno moventi diversi, ma

spesso risuonano insieme nelle medesime sedi internazionali in cui si discutono le

condizioni dell’economia globale; producono l’impressione di un conflitto di obiettivi.

Si tratta di una falsa impressione, ma è importante mettere bene in luce il modo in cui

le due linee di analisi vanno conciliate in un’unica, armonica prescrizione di politica

economica.

 

L’ultima riunione dei Ministri finanziari e dei Governatori delle banche centrali

dei paesi del G20, che si è tenuta dieci giorni fa a Cairns in Australia, offre un buon

esempio della compresenza di queste preoccupazioni apparentemente contrastanti.

 

Dal comunicato finale di Cairns emerge con chiarezza il convincimento

unanime, da parte dei venti paesi in cui si produce oltre l’80 per cento del reddito

mondiale, che gli investimenti sono in questa fase la variabile critica per stimolare la

domanda e innalzare la crescita economica: investimenti in infrastrutture, con la

compartecipazione di soggetti pubblici e privati; investimenti delle imprese, con

speciale menzione per le PMI. Se vi sono, come è possibile che vi siano, difficoltà nel

finanziare la spesa aggiuntiva desiderata attraverso i mercati e gli intermediari

tradizionali, occorre promuovere – hanno sostenuto i leader mondiali – canali finanziari ulteriori,

con un ruolo accresciuto degli investitori istituzionali, fra cui le assicurazioni.

 

Ma un altro cruciale passaggio del comunicato è stato dedicato all’avanzamento

dei lavori che il G20 aveva promosso subito dopo lo scoppio della crisi globale al fine

di costruire un nuovo assetto di regole per il sistema finanziario, che lo rendesse più

robusto e meno esposto alle crisi. Il cosiddetto shadow banking è stato sempre

ritenuto, in questo ambito, una inquietante fonte di rischi. Shadow banking vuol dire

finanziamento dell’economia reale intermediato da soggetti che non sono banche, pur

agendo almeno in parte come se lo fossero: vi appartiene senz’altro il caso di una

impresa che riceve fondi di investitori istituzionali canalizzati attraverso strumenti

cartolarizzati creati, ad esempio, da un veicolo speciale, esattamente il tipo di finanza

non bancaria invocato dal passaggio precedente.

 

Consulta l’allegato: Intesa Banche e Assicurazioni

 

FONTE: Banca d’Italia

 

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